Condivido con voi gli aggiornamenti relativi alle ultime due settimane "caldissime", con l'inflazione e la FED che ancora una volta fanno da protagonisti in una storia che difficilmente vedrà un lieto fine. Con l'ultimo intervento del 2 novembre la FED ha confermato un ulteriore rialzo di 75 punti base, portando il tasso d'interesse al 4%. I mercati subito dopo la conferma di un rialzo di 75 pb, ampiamente scontati in anticipo, hanno tirato un sospiro di sollievo, viste le forti preoccupazioni derivate dalla possibile finestra dei 100 punti base. Powell, mezz'ora dopo dall'uscita dei dati, ha smorzato ogni ottimismo, parlando di un possibile atterraggio scomodo, fuori dai piani della Banca Centrale. Il dollaro durante la scorsa settimana ha continuato a galoppare a rialzo, fino a quando i dati sull'inflazione non si sono presentati alle porte. Le previsioni sul CPI americano di questo giovedì 10 novembre, vedevano un'inflazione scendere all'8,0% dall'8,2% precedente. Con grande sorpresa il dato ha rotto le aspettative a ribasso, registrando un'inflazione headline al 7,7%.
All'interno dei mercati si sono generate grandissime volatilità, con gli indici azionari che hanno chiuso la giornata di giovedì con performance superiori al 5%. I mercati obbligazionari sono esplosi a rialzo, con i rendimenti a 2 anni che sono scesi di oltre il 6%. Le materie prime hanno registrato rialzi di oltre il 2%, così come il mercato valutario. Nell'ultima giornata di contrattazioni, venerdì 11 novembre, i mercati spinti dall'ottimismo della giornata precedente, hanno continuato a rialzo, nonostante le banche americane fossero chiuse per il "veterans day".
La domanda sorge spontanea, gli investitori pensano che il peggio sia passato?
Andando ad analizzare diverse correlazioni e andamenti passati(1970-2022) qualcosa non torna, sia dal punto di vista dell'inflazione sia dal punto di vista delle performance dei mercati.
Analizzando il comportamento degli indici azionari rispetto all'aumento dei tassi d'interesse passati, possiamo evidenziare qualcosa di interessante.
Nel 1970, l'SP500 ha toccato il "fondo" nel momento in cui la banca centrale americana aveva già incominciato a tagliare i tassi, portati oltre l'8% per quasi un anno.
Nel 1974 si ripropone la stessa situazione, così come nel 1982, 2000, 2008 e 2020.
Attualmente la banca centrale americana, con il rialzo dei tassi d'interesse non ha ancora raggiunto il target finale e i primi tagli sono previsti a settembre del 2023.
Questo ci può indicare che la fase attuale dei mercati azionari sia esclusivamente un ritracciamento in cerca di ulteriori investitori euforici pronti a comprare.
Continuiamo la nostra analisi andando a prendere la correlazione tra il tasso di disoccupazione e gli indici azionari.
Nel 1970 mentre i mercati stavano registrando i minimi annuali, il tasso di disoccupazione stava salendo velocemente, arrivando a toccare il 6,2%.
Nel 1974 lo scenario è lo stesso, mercato azionario che registra i minimi di oltre 20 anni e tasso di disoccupazione che segna il 9%.
Nel 1982,2000, 2008 e 2020 la situazione è sempre la stessa. Andiamo ora a prendere lo scenario dei giorni nostri.
Il tasso di disoccupazione si trova ai minimi storici, quindi una situazione completamente disallineata da quello che i dati storici ci hanno mostrato.
Non dimentichiamo che durante la scorsa settimana si sono tenute le votazioni di midterm in America, dove sappiamo, sempre dalle fonti passate, che i mercati in questo periodo tendono ad avere dei ritorni positivi.
Un'altra correlazione che sicuramente non dobbiamo dimenticare è quella tra inflation rate e andamento delle materie prime.
Le materie prime influiscono sul calcolo del CPI finale in quanto portando pressioni inflazionistiche sui prezzi alla produzione, di conseguenza portano un aumento dei prezzi per il consumatore. Nelle ultime settimane il DJP ha recuperato terreno a rialzo, questo potrebbe comportare ulteriori pressioni inflazionistiche nelle prossime letture. L'idea che mi posso creare da queste analisi è che la FED, probabilmente, non avrà intenzione di essere più accomodante finchè le materie prime e il tasso di disoccupazione non cambieranno rotta. Una FED aggressiva potrebbe smorzare ogni tipo di ottimismo sui mercati, e questo potrebbe far scattare una forte vendita da parte degli investitori. La fase euforica rialzista, a dicembre, con la riunione della banca centrale potrebbe avere fine.
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